Recentemente abbiamo imparato almeno due cose.

Abbiamo capito come il mondo possa subire sconvolgimenti impressionanti a causa di un nemico invisibile che non sappiamo con esattezza come sia giunto a cambiare le nostre vite, spesso a distruggerle. E stiamo tentando di difenderci.

Abbiamo inoltre capito come alle volte i distruttori siamo noi stessi, che troppe volte non abbiamo saputo prenderci cura di uno dei beni più preziosi che abbiamo: il nostro mondo. L’abbiamo inquinato illudendoci di migliorare la nostra vita, nascondendo l’evidenza che questo comportamento si sarebbe ripercosso su di noi e sulle generazioni future.

Da qualche tempo abbiamo preso coscienza della nocività delle nostre azioni e stiamo tentando di porvi rimedio.

Parlando di energia, le fonti rinnovabili sono uno di questi tentativi, che potrebbe comportare fondamentali effetti benefici. Se ne è resa conto la politica, la società civile ed il mondo produttivo.

E’ a quest’ultimo che vorrei indirizzare queste poche righe.

Le aziende, sia industriali che del terziario, hanno bisogno di energia per svolgere i propri compiti: produrre beni, rendere gli ambienti confortevoli, e via dicendo. 

La transizione energetica è un percorso che deve accompagnare la produzione ed il consumo di energia verso le fonti rinnovabili, ma non è immediato.

Durante questa transizione molte aziende desiderano volontariamente dare il loro contributo all’ambiente, approvvigionandosi da fonti rinnovabili, e vogliono raccontare la loro storia al mondo, non solo per marketing, ma per aumentare la sensibilità verso questi temi creando un volano di virtuosismo.

Ecco che da qualche anno vengono pubblicati report di sostenibilità ambientale, in cui le aziende illustrano cosa stanno facendo per l’ambiente e la sua salvaguardia, e tra le informazioni che lo arricchiscono viene indicato il contributo sul consumo di energia delle fonti rinnovabili, come parte del proprio bilancio energetico.

Tipicamente l’approvvigionamento “verde” di energia può provenire da impianti rinnovabili posti all’interno dei siti produttivi (per esempio pannelli fotovoltaici installati sulle coperture dei capannoni o sulle pensiline dei parcheggi) o dai cosiddetti Power Purchase Agreements (PPA), vale a dire contratti di approvvigionamento stipulati con determinati impianti rinnovabili di terzi, che si impegnano a cedere l’energia rinnovabile prodotta, in toto o in parte, a quel consumatore.

La sommatoria di quanto prodotto in sito dalle rinnovabili e di quanto prelevato attraverso i PPA costituiscono la quota di consumo proveniente da fonti “verdi”, e il dato viene riportato nei vari strumenti di comunicazione.

La certezza e l’incontrovertibilità di questa informazione è estremamente importante.

Esistono tecnologie che risolvono il problema, rendendo il dato certo, immutabile e trasparente per chiunque.

In particolar modo la blockchain si presta perfettamente per queste finalità, offrendo una soluzione dal costo limitato e certo, nonché dal risultato sicuro.

Il meccanismo è semplice. E’ sufficiente archiviare in blockchain i dati di produzione provenienti da strumenti di metering o direttamente dagli inverter e confrontarli con i dati di consumo. Per ogni quantità che coincide tra produzione e consumo viene generato un certificato digitale, il quale viene anche archiviato in uno strumento di document management basato su blockchain consultabile dal consumatore e dall’eventuale produttore terzo controparte di un PPA. Grazie alle caratteristiche della blockchain, privata ed accessibile solo agli stakeholder che ne hanno diritto tramite le proprie chiavi crittografiche, tutte le informazioni di produzione e consumo e dei relativi certificate vengono conservate per tutto il tempo desiderato nell’archivio digitale.

Seppur sia vero che un risultato affine sia raggiungibile anche con strumenti tradizionali (database), questi ultimi scontano il rischio di manomissione, a differenza della blockchain che è caratterizzata dalla totale immutabilità.

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